mercoledì 5 settembre 2012

Maria Cazzetta, Frà Cazzo da Velletri, Cacini, ecc - Mauro D'Orazi - Carpi - dialetto

Prima stesura 4-2-2012                                                         V16 del 09-12-2017
Maria Cazzetta, Fra’ Cazzo da Velletri, Cacini, ecc
Grandi nullità mitiche
di Mauro D'Orazi

Voglio concludere i capitoli sulle misure del valore delle persone e del contare poco o nulla con alcune figure retoriche; i loro nomi pronunciati ed evocati nel discorrere per indicare particolari situazioni dove c’è la presenza o si discorre di personaggi che pur di misero rilievo, tuttavia vogliono apparire, emergere… cóome l òoli bòun.
Alcune di esse sono tipiche del Lazio, regione di origine di mio padre, ma trovano riscontro anche in Emilia Romagna. A Carpi sostanzialmente non sono usate, ma spesso sentire al cinema o in TV, tanto da diventare ugualmente conosciute e familiari.
Spazierò fra i due dialetti regionali per approfondire queste tematiche che trovo spassose.
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Per cominciare cito il grande Luigi Lepri che nel numero di Repubblica del 3 marzo 2012 nella sua bella e divertente rubrica di dialetto bologneseDÌ BÈIN SU FANTÈSMA!” così scriveva:
“Camminare o guidare
Per definire in dialetto un affare poco vantaggioso c'è l'espressione - L é l intarès ed Cazàtt (è l’interesse di Cazzetto). Sull’origine di questo soprannome si racconta di un tale che demolì la casa per guadagnare vendendo macerie, oppure vuotò ettolitri di vino nelle fogne per vendere le botti che in quel periodo avevano prezzi alti. Nonno Iusfén, riferendosi a chi non vuole una più ampia pedonalizzazione del centro storico, ha usato così il modo di dire: Srèl Cazàtt ch’al vôl andèr in mâchina? (sarà Cazzetto a volere andare in auto?). Luigi Lepri”

Leggendo queste simpatiche righe ho pensato alla frase - L è l'interès èd Casètt! – che è riferita a  uno sprovveduto che si prese questo soprannome per aver fatto con convinzione cose estremamente sciocche e non conveniente. Oppure si indica un imbecille Signor Nessuno che vuol dire a tutti i costi la sua in una certa circostanza o questione: "A srà Casètt a vléer fèer un sèert lavòor!

Mi è anche subito venuto in mente un detto che diceva sempre mio padre (che veniva dalla provincia di Viterbo):”fare i guadagni di Maria Cazzetta", nello stesso identico significato menzionato da Lepri.
Chissà da dove deriva questo curioso modo di dire, che, in presenza di bambini, mio padre edulcorava in "Maria Calzetta".
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Li guadaggni de Maria Cazzetta (in romanesco)
Maria Cazzetta è un personaggio ipotetico e simbolico, il cui nome dispregiativo è un eloquente segno di scherno; l'espressione viene usata per bollare un affare solo in apparenza vantaggioso, ma che in realtà non lo è affatto. Ad esempio, quando per risparmiare si acquista un'automobile usata, ma poi con le riparazioni di cui necessita viene a costare quasi quanto un'auto nuova senza averne comunque il valore.
Infatti… “La roba vecchia resta sempre in mano ai fessi!”, altro proverbio di mio padre.

In genere si usa commentare con la forma esclamativa: che bbèr guadaggno (oppure al plurale che bbèi guadaggni) de Maria Cazzetta!

Ma abbiamo anche "Maria Cazzit" che era una tizia che costruiva violini, per poi bruciarli e usare la cenere per lavare i panni, così come al nòster Minèela al brusèeva i travètt per vèender la sèendra.
* Maria Cazzit comprava a 100 lire e rivendeva a 50!
* Chi arde li mobbili pÈ fa' er carbone, fa li guadagni dde Maria Cazzetta!!
* Il guadambio de Maria Cazzetta... va a fa' la legna e se perde l'accetta.
In ogni caso un antico e saggio proverbio ebraico diceva e dice: “Dove non c'è guadagno la remissione è certa!”
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Esiste anche una variante bolognese, che ha anche una certa eco nel modenese.
CAZÀTT (Cazzetto) -personaggio di fantasia
Fèr l intarès ed Cazàtt. (Fare l’affare che fece Cazzetto); dicesi di una speculazione che si è risolta in una perdita.
Il nome Cazzetto è già di per sé significativo di minchione; se poi si aggiunge che questo tipo, a quanto si dice, si evirò per fare dispetto alla moglie...
Altre azioni balorde che vengono imputate a quel babbeo di Cazàtt:
- al tré żå i mûr dla cà par vànnder äl mazêri (demolì la casa per vendere le macerie);
- al dèva dåu pîguer naigri pr ónna bianca (Scambiava due pecore nere per una bianca);
- al vudé al vén int la ciâvga par vànnder la bått (Vuotò il vino nella fogna per vendere la botte).
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Un altro detto che mi ha sempre colpito e fatto sorridere è riferito a " Fra’ Cazzo l'abate" o " Fra’ Cazzo da Velletri"
Velletri è una cittadina dei Castelli Romani piuttosto famosa per aver dato i natali a questo tanto citato quanto ignoto frate Cazzo. Un nome piuttosto impegnativo, che ha meritato al religioso una gloria imperitura.

Anche qui siamo di fronte a un personaggio misterioso, ma simbolico. Il suo nome viene pronunciato per mandare al diavolo uno e per enunciare un'infima considerazione di una persona schiocca e contaballe.
È un modo di dire. Tipo al citofono tu domandi: "Chi è?" e l'altro, che dovrebbe essere conosciutissimo dall'interlocutore... ti risponde scocciato: "Fraccazzo da Velletri!"
I romani usano Fra' Càzzo da Velletri come risposta quando ritengono sciocca la domanda dell'interlocutore.
D: “E poi chi ha cambiato la ruota della macchina?”
R: Fra' Càzzo da Velletri (chi altri vuoi che abbia cambiato la ruota della macchina? Io, naturalmente!).

Per indicare il giungere di persona sbruffona, si può dire: “È arivato Fra’ Cacchio / Fra’ Cazzo da Velletri!”:

Anche in questo caso la frase può attenuare a piacere in "fra Cavolo l'abate" * o "fra Cassio da Velletri" o "Frattazzo".
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Fra’ Cazzo da Velletri è comunque una tipica figura immaginaria, conosciuta soprattutto nella provincia laziale ove si narrano storie e racconti bizzarri ed astratti.
Nonostante siano stati fatti studi e ricerche sulle origini di tale metafora, non si hanno riscontri tangibili sulla reale provenienza. Resta quindi pressoché oscura la sua vera origine.
Questa figura così spesso ben rappresentata è divenuta oggi una sorta di iconografia mitologica al pari degli elfi dell’unicorno, del minotauro o del ciclope, ma a differenza di essi Fra’ Cazzo da Velletri (comunemente conosciuto perché sparatore fandonie) non è impresso come immagine fisica o determinata. Infatti esso assume di volta in volta forme e profili diversi, esso è cangiante, camaleontico e può assumere i volti di chiunque, e chiunque può diventare di colpo Fra’ Cazzo da Velletri; la mutazione è repentina e indolore, ma allo stesso tempo mortificante. Infatti, una volta battezzati e divenuti Fra’ Cazzo da Velletri è molto difficile poter cambiare stato e considerazione presso altri.
Ma come si diventa Fra’ Cazzo da Velletri? La metamorfosi è davvero semplice, basta spararla grossa, è infatti sufficiente dire e o raccontare balle gigantesche, come al ciavadaari Silvio nazionale, o il suo figlioccio RenSi, o come al ciacaròun Grillo. Si dicono le più grosse che vengono in mente con viso franco e serio, anche ammantato da un leggero sorriso ammiccante (del tipo “Tranquilli! Ci penso io!”). È importante raccontarle però a più persone possibili e così facendo si arriva al momento allegorico.
Il problema per il tapino è che una volta guadagnata questa identità, si diventa lo zimbello della comunità in cui si staziona, ma poco male, perché chi lo è… non se ne accorge e seguiterà nei suoi sproloqui e figurette.
Chi invece è in perfetta malafede, non se ne curerà minimamente.
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Altre tesi su Fra’ Cassio da Velletri
C’è chi lo indica come personaggio mitico leggendario, frate che godeva fama di guaritore.
La principale leggenda racconta che Messer Nuccio Tornabuoi, essendosi invaghito di Lisa, moglie del gonfaloniere di giustizia di Firenze Lapo dei Pazzi, scommette che riuscirà a conquistarla. Per realizzare il sogno, sparge la voce che Fra’ Cassio da Velletri è capace di mettere in fuga il demone della lussuria dal corpo della donna. Quindi, fattosi passare per il santo frate, circuisce la donna, e per curarla bene dice che ci vorrà parecchio tempo. La fa sua per un anno intero, anche con la complicità di Lisa e con spese cospicue di Lapo.
Viceversa, nella leggenda otto/novecentesca del centro Lazio, Fra’ Cassio è un personaggio non meglio definito, si cita di solito quando (come prima ricordato) qualcuno ti chiede "Ma chi è?" e la risposta è scontata: "Fraccazzo da Velletri !!"
In verità pare fosse realmente un buon religioso, chitarrista ed organista nella Roma del 1920.
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Altre espressioni tipiche e molto diffuse a Roma (ma non esclusivamente) sono:
cazzàro (persona poco attendibile che tende ad amplificare narrativamente la realtà; in politica ad es. RenSi);
cazzòne (individuo poco affidabile, propenso a giocare e scherzare anche in consti poco opportuni, spesso poco sveglio dal punto di vista intellettivo);
rompicàzzo (persona molesta --> nun m'hai da rompe er càzzo);
cagacazzo (persona ancor più molesta, che sempre godere nel creare problemi – di rampèin - alla gente, anche per cose di minima importanza).
Le ultime tre si usano comunemente anche a Carpi
Frequentemente queste espressioni sono precedute dal vocativo 'a ('a cazzaro! 'a cazzone! 'a rompicazzo). In questi casi è obbligatorio alzare il tono della voce e allungare la vocale finale: 'a cazzarooooooooo!
Quando la frase inizia con 'a (ad esempio: 'a fijodenamignottaaaaaaaa!) il vero romano deve poggiare la mano di taglio sulla guancia, o con il palmo rivolto verso l'esterno (come nella foto qui sopra) o con il dorso della mano controlaterale accanto alle labbra. Non fate l'errore di pensare che questo serva per amplificare il suono: tale gesto va eseguito anche quando l'interlocutore si trova a 5 centimetri da voi.
vedi     http://inwonderchat.blogspot.it/2012/03/il-vero-significato-di-sticazzi-e-di.html
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Degni di nota sono anche a Carpi: Bacuss, Brèega, Pigone da Fossoli e Cacini che si sentono, anche da noi.
Bacùss
Espressione interessante, e diffusa in vaste zone, è quella... A sòmm in maan a Bacùss!” nel senso che si è in mano una persona totalmente inaffidabile e certamente NON sobria. Chi è questo Bacùss ? Per me non ci sono dubbi: la derivazione è addirittura quasi bimillenaria e non è altro che il dio Bacco delle libagioni e dei culti misterici dionisiaci greci e romani.
Rimanendo sullo scherzo qualcuno aggiunge:
“Bacùss l èera al fióol èd (S)Cocùss ch al se schisèeva i maròrun tramèeṡ a l uss!” che si schiacciava i gioielli in mezzo all’uscio.

Pigòun da Fòosel
(Pigone da Fossoli)
Dovete sapere che questo Pigone era persona famosissima, straordinariamente conosciuta a livello mondiale e nella barzelletta che si racconta (che può essere tenuta lunga a piacere e ad abilità del narratore) viene messo a confronto con celebrità mondiali, che appaiono quasi degli sconosciuti di fianco a lui. Finché si arriva all’acme della storiella, quando durante la visita ufficiale di una primaria autorità religiosa a Fossoli, due, fra il foltissimo presente, hanno questo dialogo:” Mò chi èel cl umèin vistìi èd biaanch da tèes a Pigòun?” (Ma chi è quell’omino vestito di bianco vicino a Pigone?)
Tralascio la risposta...
Brèega
Brèega è un personaggio dell'immaginario romanesco, citato sempre come persona inesistente, come a dire "il signor Nessuno", quando qualcuno omette di fare fede ad un impegno preso, o di restituire qualcosa di dovuto, ecc…
Un esempio fugherà ogni dubbio circa l'uso dell'espressione. Prendete un taxi e, una volta giunti a destinazione, avvisate l'autista che avete dimenticato il portafogli a casa: la sua legittima reazione potrebbe essere: “E mmò cchi mme paga, Brèega? cioè "E ora chi mi paga? il signor Nessuno ?”

Da noi a Carpi, questo personaggio non poteva mancare nella nota storiella divenuta anche un modo dire:
"Iit tè Brèega ?" “No! A sun al sòo garsòun!".
(Sei tu Braga? – No! Sono il suo garzone!)
La moglie del fornaio stava impastando, leggermente piegata in avanti e con il culone in evidenza; il garzone arriva e glielo appoggia dietro senza tanti complimenti. La donna dissimula in perfetta e interessata malafede di credere che si tratti del marito Brèega.
La frase si dice quando un fatto è di palmare evidenza, ma si finge a bella apposta di non capire la situazione.

Cacìini
Mò chi ìit? Cacìini?  Ma chi sei Cacini?
Ancor meno:
Mò chi ìit? Al fióol èd Cacìini?  Ma chi sei? Il figlio di Cacini?

"Cacini" è un'altra figura immaginaria, nata molto più recentemente di Brèega, citata stavolta ironicamente come personaggio potentissimo e di grande abilità o forza.
Di fronte a qualcuno che millanta o effettivamente porta a termine qualcosa di grandioso, un'impresa che parrebbe impossibile, i commenti a Roma (spesso un po' invidiosi) potrebbero essere: "E cchi ssei? Cacini?", oppure "Ahò, è arivato Cacini!", e così via, come dire "È arrivato Superman".
Può essere quindi riferito ad una terza persona ("Chi ssarà mmai? Cacini?", ecc…), ma non è mai utilizzato al plurale.
Si usava molto anche a Carpi, ma la frase oggi è datata e un po’ in disuso.
L’origine del nome dovrebe essere questa:
Gustavo Cacini, attore di varietà, (Roma, 31 dicembre 1890 – Nettuno, 31 dicembre 1969) celebre per le battute in botta e risposta con la platea.
Sbruffone, pieno di sé e veloce nella battuta greve: così si presentava al pubblico ben poco raffinato dei teatrini sporchi e fumosi della Roma di inizio secolo.
Era un vero e proprio “bullo”, un comico che, per lavoro, esercizio e indole era tra i pochi in grado di resistere a feroci attacchi degli spettatori, che al tempo non risparmiavano insulti e provocazioni pesantissime.
Agli inizi del Novecento fu un esponente di quelle forme di spettacolo che un tempo si soleva definire come teatro minore, etichetta che identificava il teatro di varietà, la rivista, l'avanspettacolo, ma anche le entrées dei clown nel circo.
Di corporatura esile ed aspetto smunto, strabico e gibboso, si presentava in scena con un lungo frac e calzoni che non gli arrivavano alle caviglie, sotto i quali spuntavano scarpe di una misura spropositatamente grande. Il costume ridicolo ben si accompagnava allo sgraziato vocione che possedeva.
La sua caratteristica era quella di provocare la platea con un atteggiamento da sbruffone, con le battute pesanti ed i doppi sensi. E d'altra parte il pubblico a sua volta era solito "interagire" in modo non leggero con gli attori di avanspettacolo, con duelli coloriti. Da qui la battuta entrata nel parlare comune a Roma e non solo “Ma chi sei, Cacini?”, con riferimento alle arie da bullo che l'attore assumeva in teatro, spacciandosi come il vero erede di Primo Carnera.
Era famoso anche per le sue canzonette sboccate, dove faceva grande uso di doppi sensi ("O che frutto saporito è la banana, o che frutto delizioso è la banana, la banana fa ingrassar"). Probabilmente fu proprio Cacini, in uno dei suoi insuccessi, a meritarsi quel lancio di un gatto morto dalla platea (probabilmente al teatro Trianon) poi ripreso da Federico Fellini nel film Roma. Il lancio fu accompagnato da una voce anonima che, nel buio, gridò: “Bècchete ‘sta gattata!”, tra l’ilarità del pubblico presente.
Cacini non si perse d’animo e, chiedendo di illuminare la sala, raccolse il gatto morto e, tenendolo in grembo, lo accarezzò rivolgendosi al pubblico della galleria dicendo: “Pòra bestia… Ma nun era mejio che de sotto te ce buttavi  te?” E, dopo una pausa “teatrale”, al culmine del pathos, aggiunse: “E dopo va’ a da’ torto ar vicinato, che fa tutte quelle chiacchiere su tu’ madre!” Il teatro venne giù in un applauso, decretando il trionfo del comico sull’anonimo lanciatore di gatti.
Nel 1926 calcò il palco del cinema teatro "La Fenice" di Roma e tra il 1927 e il 1928 presenziò più volte al Teatro Jovinelli. Altre sue ribalte furono il Teatro Volturno, oggi non più esistente  e il Morgana. Apparve l'ultima volta nel 1945 al Quattro Fontane interpretando il suo personaggio tragicomico nella rivista «Soffia so...» di Garinei e Giovannini accanto alla grande Anna Magnani.
Alberto Sordi ne parlò come del comico nero e lungo che pareva una penna stilografica: mentre la platea lo bersagliava inferocita, perché non si divertiva per niente, lui imperterrito continuava a ripetere: «Strillate, strillate, l'importante è che si parli di me»...."
Era solito concludere le sue smargiassate dicendo: "L'ho prese sì, ma quante gliene ho dette!".
Si disse che ottenne un cospicuo riconoscimento in tribunale per il ritornello fascista “Faccetta nera, bell'abissina...” che era stato plagiato dalla sua “La vita è comica presa sul serio, perciò prendiamola come la va…”
 

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Mauro D'Orazi  
giustamente l'amico scrittore Parmeggiani circa Maria Cazzetta mi fa notare l'appartenenza di Bologna allo stato della Chiesa con possibili importazioni di detti
ecco il testo del 9-3-2012
  Caro Mauro,
tenendo conto che in passato Bologna era una capitale dello stato pontificio e Viterbo (con il centro Italia) era sotto la sua dominazione, Cazzett o Cazzetta forse hanno origine da un modo di dire comune a quella storica area geografica, presumibilmente romanesco.
Oltre a Cacini che penso fosse un impareggiabile giocatore di carambola, ti ricordo pure il detto:
"T en n i mia Fagìin o Mìcca!..." (espressione che ancora si sentiva pronunciare nelle bocciofile della nostra zona, fino a qualche decennio fa, verso giocatori che sbagliavano il punto o la bocciata, essendo Fagìin (forse Faggini) e Micca, due leggendari giocatori bocce, credo toscani. Saluti Carlo Alberto Parmeggiani
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  9-3-2012 Luigi Lepri di Bologna (del DÌ BÈIN SU FANTÈSMA!):
Caro Mauro,
risulta anche a me che, come confermi, questo personaggio immaginario si Cazètt sia presente, con varie derivazioni, anche in molti altri dialetti italiani dalla Lombardia, fino al Lazio e forse anche più a sud.
Ovviamente esistono tante varianti con cambi di genere e con aggiunta di nomi di battesimo,ma la base di partenza è sempre costituita dall'identica radice cazz- come per l'immaginario e noto "religioso fasullo" Fra' Cazzo da Velletri.
Non mi preoccuperei più di tanto del "da dove deriva", anche se mi pare chiara l'origine da "cazzo" come per altri simili (testa di cazzo, cazzone, cazzaccio, ecc.) usati in senso dispregiativo e per indicare soggetti dalle varie caratteristiche negative.
Quindi, volendo, credo che per l'etimo si debba cercare nella famiglia di "cazzo" (caput?). Brega e Cacini sono sconosciuti a Bologna, mentre Zega è presente in provincia (es. Budrio).
Cari saluti - Gigén Lìvra
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 9-3-2012 Graziano Malagoli (coautore del ns dizionario di dialetto carpigiano):
Caro Mauro,
una lezione molto istruttiva!
Di questo frate di Velletri ho già sentito parlare dai mio cognato romano de Roma. Quanto a Cacini, ti assicuro che a Carpi è ben conosciuto e non di rado usato. Saluti Graziano Malagoli.




1 commento:

  1. Per chi non sa presto parla...........

    NON TUTTI SANNO CHE I FRA' CASSIO
    DA VELLETRI IN VERITA' SONO 2
    Nella leggenda del centro Lazio, Fra’ Cassio è un personaggio
    non meglio definito, si cita di solito quando qualcuno ti chiede
    "Ma chi è?" e la risposta è scontata: "Fraccaxxo da Velletri !!"
    In verità, il primo è un buon religioso, organista vaticano,
    chitarrista e compositore nella Roma del 1920.
    In FOTO due delle sue varie composizioni.
    (Peccato che qui non vengono prese).....
    Intorno al 1700 sarebbe vissuto un altro Fra' Casso (senza la "i") e che non fosse un religioso, ma uno studioso di erbe medicamentose, curava malati di gotta, di bile, dolori intestinali, cicatrizzava piccole ferite da combattimento ed aiutava le spose ad avere la maternità.
    (Qui il film di Romano Gastaldi del 1973 ci ha giocato parecchio).
    Gli antagonisti per disprezzare le sue doti di uomo giusto
    iniziarono a manipolare il senso: "E chi sei Fraccasso da Velletri".
    Viene ricordato come l'inventore delle pillole perché
    somministrava le sue erbe inserendole in palline di farina e miele.
    Le odierne "Palle di Fra' Casso" ricordano il suo motto: "L'erba giusta al momento giusto."
    Queste moderne Palle ora manipolate sono di buon cioccolato ripiene di varie leccornìe, come: liquori, caffè, ciliegie, uva passa, nocciole, fichi secchi, ecc.
    I moderni Baci, i Boeri o altri cioccolatini ripieni sono quindi i bis-pronipoti delle famose Palle di Fra' Casso.

    Gestore del gruppo Facebook di Velletri "VOLSCOZOOM"

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grazie